Daniele Luchetti ed il cast de “La nostra vita“, sono presenti al Festival di Cannes 2010, dove rappresenteranno l’Italia, come unico film italiano in concorso. Leggiamo adesso uno stralcio dell’intervista raccolta da “Multiplayer.it” durante il festival francese.
Non si tratta di un film politico in senso stretto, ma quello che c’è intorno alla storia ed ai personaggi lo è assolutamente. Risponde il regista Daniele Luchetti.
“Ad un certo punto abbiamo valutato anche l’idea di raccontare per chi vota il nostro protagonista, le sue passioni politiche, ma il film si sarebbe impoverito facendo un discorso troppo diretto. Diciamo che è un film politico a posteriori, che fa trarre un ragionamento sulla condizione del nostro paese. In un’altra occasione ho citato una lettera di Chekov, in cui l’autore diceva che l’artista non deve prendere posizione, ma fare le associazioni giuste in un racconto. E’ quello che ho cercato di fare e spero che permetta di far nascere un ragionamento politico. Prima un giornalista francese mi ha chiesto quando l’Italia è diventata così e io credo che sia dopo la caduta delle ideologie, un momento in cui il paese si è ritrovato povero. Quando le ideologie sono state sfilate da sotto il culo degli Italiani, l’unico modello che è rimasto loro è il diventare ricchi, ma in un paese povero”.
Elio Germano, come ha affrontato il personaggio in questo ambiente italiano che ci avete descritto? E’ un modello di Italia che conosceva?
“Ci siamo preoccupati di individuare un personaggio che potesse essere anche una persona, non appiattito in una definizione, ma vero e complesso. Ho cercato di calarrmi nel suo passato e di fare esperienze che mi dessero la possibilità di entrare in quell’ambiente, cercando di evitare di cadere nei clichè. Ho fatto un tipo di preparazione funzionale al lavoro che avremmo fatto sul set. E’ l’Italia di tutti noi. Se uno dice di non conoscerla, non può essere in buona fede. Qualunque ambiente di lavoro è infarcito di questi meccanismi, non mi sembra si parli di un mondo lontano che non esiste”.
Daniele Luchetti, ci è sembrata sorprendente la scelta Raoul Bova, normalmente considerato un modello di bello, per un personaggio del genere.
“Mi ha aiutato moltissimo essere amico di Raoul. Vedevo attori che corrispondevano di più alla scrittura, ma poi un giorno ho pensato a Raoul, ed è stata come una folgorazione. Ha in sè un voler far pace con la sua fortuna, un senso di colpa latente che nel film si trasforma quasi in depressione. Si tratta di un personaggio con difficoltà, con una forte timidezza, che trova accanto a sè una donna come Alina che gli dà sicurezza, che ha qualcosa di familiare che lo rassicura. Gli attori in generale possono essere scelti o per aderenza al personaggio o per contrasto e a me piace a volte sceglierli con questo secondo criterio. Anche la scelta di Isabella Ragonese o Luca Zingaretti rispecchiano questa ottica: Isabella potrebbe intepretare ruoli da donna colta, mentre per Luca mi è sembrato far fare un personaggio così discutibile e diverso dal commissario Montalbano”.
Raoul Bova, come si è calato in questo personaggio così diverso dal suo solito?
“Il discorso della bellezza sembra sia quasi diventato un problema, ma in realtà io non l’ho mai affrontato, nè come problema nè come vantaggio. C’è molta attenzione su questo punto, come se alcune persone non possano avere determinati problemi o perplessità, come se chi è come me possa andare in giro senza nessun pensiero, ma in realtà sono una persona come altre, con i problemi di tutte le altre”.